Come tutti sappiamo, Roma deve la sua vita al Tevere, tanto che era visto come una vera e propria divinità. Al di là del mito, il Tevere era vissuto quotidianamente dai romani, non solo per il commercio ma anche per lavarsi, svagarsi e trascorrere il tempo libero.
Nonostante il forte legame, i romani dovevano fare i conti con “l’umore” del fiume”, soprattutto nei periodi di piena. Alcune volte su Roma si abbattevano piene spaventose e le acque del fiume invadevano con violenza l’intera città, causando anche migliaia di morti. L’ultimo volta accadde a dicembre del 1870 in cui la piena provocò moltissimi danni e vittime. Per cui l’anno successivo doverosa fu la decisione di realizzare argini artificiali di circa 18 metri chiamati comunemente muraglioni. Ebbene, sono proprio loro il principale motivo per cui i romani si sono distaccati fisicamente ed emotivamente dal fiume, nonostante gli oltre 2000 anni vissuti praticamente in simbiosi. Tuttavia i muraglioni furono una scelta doverosa. Insomma, ogni dito è stato puntato sul Tevere e mai sul nostro modo di relazionarci all’ambiente circostante. Nonostante ciò, ricordiamoci che il Tevere rappresenta ancora Roma, ed è facile vedervi il simbolo sia del degrado di questi ultimi anni, ma anche di un possibile riscatto. Un riscatto basato sulla riqualificazione ambientale, ma soprattutto sulle nostre scelte quotidiane e sul nostro modo di guardare e percepire ciò che è intorno a noi. Riscoperta e riscatto: due degli obiettivi del mio libro Tiberis. L’altra faccia del Tevere. Il Tevere ci insegna che abbiamo due scelte: formare una sorgente e pian piano un grande fiume che perpetuerà nel tempo in un ciclo che è alla base della vita, oppure creare una piccola pozza destinata a prosciugarsi per sempre. A noi la scelta.
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Settembre 2023
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